Persuadere nell’era digitale. Quando ad influenzare è
la tecnologia
di Marco Chiacchiari
Sulla bacheca di Facebook hai
appena visionato alcuni dei contenuti appositamente selezionati per te da un algoritmo.
Con pochi e semplici click hai potuto acquistare su Amazon l'ultimo libro del
tuo autore preferito. Proprio adesso, l'applicazione di gioco installata sul
tuo smartphone ha inviato delle notifiche che ti esortano a riscuotere
la ricompensa del giorno. Sono solo tre degli innumerevoli esempi possibili di
cosa voglia dire persuadere nell’era digitale.
Che la persuasione sia presente
nella vita dell’uomo non costituisce certo una novità. In piena polemica con i
sofisti (perfettamente consci del potere persuasivo della parola), ne parla già
Platone nel Gorgia. Ma cosa accade quando a persuadere è la tecnologia?
B. J. Fogg, psicologo
sperimentalista statunitense, è stato il primo ad interessarsi in maniera
compiuta alle tecnologie persuasive (TP), tecnologie ideate ed implementate con
il preciso scopo di persuadere l'utente al fine di modificarne attitudini e
comportamenti. Con il termine captologia (dall'espressione Computer As
Persuasive Technologies, si ricava l'acronimo capt- cui l'autore
aggiunge il suffisso -ology), s’indica invece lo studio dei cambiamenti nell’atteggiamento
o nel comportamento che risulta dall’interazione uomo-macchina. Ma cosa intende
Foog quando parla di persuasione? Qualsiasi tentativo atto a modificare
atteggiamenti e/o comportamenti senza però ricorrere all'inganno o alla
coercizione.
Al netto del mondo che ruota
attorno al marketing, il cui interesse per le tecniche persuasive è
autoevidente, i campi d’applicazione delle TP sono molteplici e variegati:
l’immersione in un ambiente virtuale al fine di affrontare l’oggetto della
propria fobia (ad es. i ragni, l’altezza, la paura di parlare in pubblico); vi
sono applicazioni che hanno lo scopo di persuaderci a compiere attività fisica
o ad adottare stili di vita che riducano il consumo energetico; applicazioni
web per motivare gli studenti a raggiungere i propri obiettivi durante il
percorso universitario, oppure i cosiddetti serious games, esperienze di
gioco il cui scopo è pero essenzialmente educativo.
Sono diversi i vantaggi che si
ottengono quando a persuadere è la tecnologia: l’interattività, quella di cui i
media tradizionali sono carenti, la capacità di gestire ed immagazzinare una
grande mole di dati, ed infine la possibilità di essere in più luoghi
contemporaneamente. Un enorme potenziale persuasivo dunque, dal quale non
possono non scaturire alcune preoccupazioni etiche. Certo, gli esempi citati
poc’anzi non sembrano sollevare grosse questioni morali, e generalmente siamo
disposti a riconoscerne le buone intenzioni (favorire l’esperienza educativa,
la cura di se stessi, la sostenibilità ambientale ecc.).
Vi sono tuttavia casi in cui la
dimensione etica delle TP assume risvolti contrastanti. Tralasciando l’annosa,
fondamentale questione della proprietà e dell’uso dei dati, ci si chiede
anzitutto se sia sempre possibile tracciare una netta linea di confine tra la
persuasione e la manipolazione. In tanti siamo disposti a riconoscere che la
persuasione costituisca un aspetto dell’esistenza umana mai del tutto
eliminabile. Non siamo invece altrettanto inclini ad accogliere l’inganno nelle
nostre vite. E ancora: è sufficiente, nel solco del principio di trasparenza,
esplicitare le intenzioni che sono alla base del sistema persuasivo per
assicurarne l’eticità? A tal riguardo un caso celebre è costituito da Americas'Army,
un wargame progettato dall’esercito statunitense (ormai tempo fa, ma si
attende la quinta edizione!), con lo scopo esplicito di persuadere gli
adolescenti ad arruolarsi una volta raggiunta l’età adulta. In base a quale
sistema valoriale saremo disposti a riconoscere o meno la moralità di una tale
operazione? Ma non è solo questo. Sfortunatamente, quand'anche le intenzioni
fossero buone, potrebbero comunque verificarsi degli esiti disastrosi non
valutati in fase di progettazione. Consideriamo il caso di un’applicazione
ideata per monitorare il consumo quotidiano di cibo, che dunque fornisce
feedback circa il numero di calorie necessarie al giorno, consentendo
all'utente di settare il peso ed i traguardi da raggiungere. Fin qui nulla di
strano. Ma cosa accadrebbe, si chiede Naomi Jacobs, ricercatrice della Eindovhen unversity of
technology, se a servirsene fosse una persona affetta da disturbo
alimentare? Un’applicazione pensata per apportare benefici alla propria salute,
metterebbe capo a degli esiti diametralmente opposti. Dunque, quali sono le
strategie che i designer dei sistemi persuasivi devono adottare per
tenere in conto gli interessi dei soggetti vulnerabili, o più in generale, di
tutti gli attori in gioco?
La
sfida etica lanciata dalle TP non può essere ignorata, e ciò a maggior ragione
se consideriamo il livello di pervasività raggiunto oggi da queste. I device
mobili, ormai praticamente a disposizione di tutti, non fanno altro che
rafforzare il potenziale persuasivo: sono a portata di mano, di facile accesso
(fattore comodità), e soprattutto consentono di inviare il suggerimento nel
momento opportuno (fattore kairos). Esserne consapevoli concede
quantomeno la possibilità di valutare autonomamente le diverse strategie
persuasive di cui siamo di volta in volta destinatari